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Dal Cantone Ticino alla Val Bormida: un caso di imprenditoria femminile di successo tra metà Ottocento e inizio Novecento

Quale è stato il ruolo delle donne nel processo di industrializzazione dell’alta Valbormida e del basso Piemonte tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento? Esiste qualche figura femminile che ha saputo precorrere i tempi e, seppur in modo inconsapevole, cogliere i fermenti anticipatori di un progresso che andava via via imponendosi e, rischiando in prima persona e sopportando pesanti sacrifici, costruire opportunità di lavoro e di sviluppo nei territori in cui si è trovata ad operare?

Una prima risposta è racchiusa nel libro “Tegoli, coppi e mattoni. Filomena Ferrari e l’avvio dell’industrializzazione di Millesimo e Sale delle Langhe”. È la storia di una delle prime donne capitano d’industria. Nell’800. Ma è anche storia della terra che fece da scenario a questa’avventura imprenditoriale: la Val Bormida.

“Tegoli, coppi e mattoni” è il titolo del saggio di Donatella Ferrari che ricostruisce il filo di queste vicende e che è stato presentato lo scorso 7 aprile nella sala consiliare del Comune di Millesimo in concomitanza con la presentazione del piano di riqualificazione delle aree sulle quali un tempo sorgeva la fornace di laterizi.

Il volume (198 pagine corredate da fotografie, grafici, tabelle ed elenchi d’imprenditori ed esercenti le attività commerciali millesimesi tra il 1866 ed il 1911) descrive gli albori dell’industrializzazione valbormidese alla metà del XIX secolo e più in particolare la nascita e l’affermazione di una moderna industria dei laterizi a Millesimo e Sale delle Langhe, ad opera dei bisnonni dell’autrice, Carlo e Filomena Ferrari, emigrati a Millesimo dal Malcantone, una piccola regione della porzione sud occidentale del Canton Ticino, in Svizzera, oltre un secolo e mezzo fa. Tuttavia, l’interesse dell’opera consiste soprattutto nel fatto che le vicende narrate ruotano intorno ad una figura femminile, quella di Filomena Ferrari per l’appunto, che può essere sicuramente considerata una delle prime donne imprenditrici, non solo di Millesimo e dei paesi limitrofi ma anche di un’area assai più vasta.

Il racconto, frutto di tre anni di studio e di ricerca condotti in archivi locali e del Canton Ticino, prende l’avvio intorno alla metà dell’Ottocento, allorché Filomena emigra dalla Svizzera per seguire il marito, prima fornaciaio e poi probabilmente gestore della fornace dei Del Carretto. L’avventura imprenditoriale di Filomena, ha inizio alcuni anni più tardi, allorché a 39 anni rimane vedova con cinque figli. Il maggiore di essi, Gio Battista ha 15 anni, il minore, Angelo, ne ha 5. «Avrebbe potuto fare ritorno nel Malcantone con il quale intratteneva sicuramente dei rapporti visto che all’epoca il padre, Carlo Giuseppe, era ancora vivente così come la maggior parte dei dieci fratelli …», ma non fu così, ed il libro di Donatella Ferrari ci guida lungo il percorso che farà sì che una modesta contadina svizzera, emigrata in Valle Bormida, divenga una donna di successo.

Il libro ripercorre le vicende di cui ella fu protagonista o testimone sino alla morte, nel 1915, ma la narrazione biografica s’intreccia con quella degli eventi che all’epoca interessarono Millesimo e la sua valle, in non pochi casi riflesso locale di più vasti fenomeni operanti a scala regionale, nazionale o globale, ponendo in evidenza le dinamiche territoriali, sociali e culturali entro le quali s’inscrisse l’attività imprenditoriale di Filomena, compreso l’emergere delle prime forme di rivendicazioni “sindacali” e di solidarismo operaio, di cui la nascita della SOAMS è una delle prime espressioni locali. Infatti, come ci ricorda l’autrice, nel 1881, a Millesimo era stata fondata la Società Operaia Agricola di Mutuo Soccorso (SOAMS) che poneva tra i suoi obiettivi: «l’assistenza economica e morale dei soci in caso di malattia, l’istruzione scolastica e l’aggiornamento agricolo degli iscritti, l’attività ricreativa». Con essa s’intendeva «unire le forze dei contadini con quelle dei lavoratori delle fabbriche anche se fra le adesioni registrate nel primo anno di vita dell’associazione si contavano anche piccoli commercianti e artigiani. Una sinergia tra tanti lavoratori, dunque, appartenenti a comparti diversi ma desiderosi di collaborare per un miglioramento delle proprie condizioni di vita morali e materiali». Condizioni di vita che, dalla documentazione fornita dal libro, all’epoca erano particolarmente dure, con orari di lavoro che oggi non esiteremmo a definire “massacranti”.

Di notevole interesse è anche la descrizione dell’attività produttiva e dell’organizzazione del lavoro nelle fornaci di laterizi tra fine Ottocento ed inizio Novecento, che trova un puntuale, ed utile, complemento nel «Dizionario dei termini tecnici e gergali in uso nell’industria dei laterizi tra Ottocento e Novecento» posto in appendice al volume e grazie al quale si entra “nel vivo” del lavoro ed è possibile conoscere il nome degli addetti alle varie mansioni della produzione, degli attrezzi e utensili utilizzati dalle maestranze, le dimensioni e caratteristiche dei mattoni e degli altri prodotti: coppi, tegole, piastrelle.

La figura di Filomena emerge come un’affascinante esempio di donna, imprenditrice di successo ante-litteram, pioniera dell’industria millesimese prima e di Sale delle Langhe poco più tardi, in un tempo nel quale le attività economiche condotte da donne «erano per lo più quelle tradizionalmente considerate appannaggio femminile: ostesse e ristoratrici, sarte e negozianti di generi alimentari e tessuti». Infatti, nel 1866 a Millesimo «su 55 aziende solo 6 erano condotte da donne (11%), nel 1877 quelle condotte da donne erano 8 su 69 (11,6%)». L’autrice rileva però altresì come tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si registrasse «un consistente incremento sia nel numero totale delle aziende operanti a Millesimo, che salgono a 97 nel 1900 e a 117 nel 1907, sia nell’incidenza della componente femminile tra i titolari d’azienda, che diviene pari al 13,4% nel 1900, supera il 18% nel 1907 e sale ulteriormente nel 1911, allorché, a fronte di un leggero calo nel numero di aziende, quelle condotte da donne erano di poco inferiori ad un quarto (23,2%)»

Ma Filomena non era solo un’abile imprenditrice, dalla narrazione emerge un profilo di donna a tutto tondo e a tutto campo: fornaciaia, commerciante di attrezzi agricoli, materiali da costruzione e “ammobiliamenti” (un termine che compare sulla sua carta intestata), ma anche sposa, madre, vedova, benefattrice, donna di fede. Tuttavia essa fu soprattutto un’anticipatrice, forse inconsapevole, di nuovi scenari in cui le donne acquisivano coscienza di sé ed andavano a coprire ruoli un tempo svolti unicamente dagli uomini. La vicenda di «questa donna svizzera, vedova, che combatte la sua battaglia per continuare con ostinazione quello che il marito aveva iniziato e creare condizioni di vita migliori per i figli e i nipoti» appare, così per ampi tratti comune a quella di «tante altre donne che, in contesti o situazioni diverse, hanno avuto il coraggio di superare il ruolo di subalternità loro attribuito dalla cultura dominante e affermare la propria individualità».

In definitiva dunque questo volume non offre al lettore solo una ricostruzione della micro-storia economica e sociale di un tratto della valle Bormida e di Sale delle Langhe, infatti esso costituisce soprattutto un contributo alla storia delle donne imprenditrici, una storia ancora in gran parte da scrivere.

Valeria Spotorno

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