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Citazioni relative alla viticoltura

Viticoltura, Hans Rudolf Schinz, 1770 - Vi sono due generi di campi; l’uno dà solo cereali e come alberi ha soltanto dei gelsi, piantati ai margini e lungo le strade: lo si chiama ‘campo scoperto’. L’altro tipo è occupato da viti, i cui tralci sono riuniti in festoni e ombreggiano leggermente il campo stesso, il quale è detto ‘campo vignato’. (...) L’altro genere di campi sono i ‘campi vignati’, che sono coltivati in parte a viti. Per farsene un’idea, ci si figuri un campo quadrangolare, oblungo, in cui sono piantate 3 o 4 file di aceri, in dialetto detti rombi, (...) Questi tronchi alti da sei a otto piedi sono i sostegni delle viti, piantate nel campo a ridosso di questi aceri. (...) Tra i filari il campo viene arato, e in mezzo alla linea delle viti il terreno viene zappato per seminarvi il grano; si coltiva quindi il campo nei modi già descritti, a grano e poi a colture minute, esattamente come il campo scoperto. (...)

Vi è però un terzo genere di poderi. In cui si coltivano nel contempo frumento, grano minuto, vite ed erba; ciò avviene soprattutto nei cosiddetti ‘luoghi’, che di solito si trovano sui fianchi dei monti e appartengono a persone che nei loro pochi fondi preferiscono coltivare ogni genere di piante, sfruttando la fertilità del clima. Questi terreni sono terrazzati; sulle parti in pendio o ai margini delle terrazze cresce l’erba, che a suo tempo viene tagliata due volte con la falce ed essiccata. Sulle superfici pianeggianti vi sono delle pergole, sostenute o dagli aceri nel modo descritto, cioè da sostegni vivi, oppure appoggiate a ringhiere o tralicci di legno morto, o ancora coltivate ad alberello singolo, con viti più piccole. Tra tutti questi tipi di vite si coltiva frumento, dove le terrazze sono larghe, e panico, miglio o anche granoturco, dove sono più strette. Tutte queste colture maturano a tempo debito, fornendo un utile considerevole, che si aggiunge a quello delle viti.

Inoltre si coltiva la vite anche sulle cosiddette ‘colline’ (chiamate anche ‘ronchi’) non terrazzate, che si estendono lungo il versante meridionale delle montagne, là dove queste sono erte e rocciose. (...)

Infine si coltiva pure molta vite nelle pergole poste lungo le strade, sospese sopra di esse a ombreggiarle piacevolmente, o in quelle che servono a coprire i viali delle tenute (e sono dette anche ‘toppie’); esse infatti si trovano in luoghi fertili e sono ben concimate. (...)

Nel territorio di Lugano e anche sulle alture di Locarno e in Valmaggia sono più diffuse le viti sostenute con legno morto o con pali, ma ovunque vi sono ‘toppie’.

Gli italiani potrebbero produrre del vino pregiato ed eccellente, molto più di quello che ottengono attualmente, se lasciassero maturare completamente le uve, invece di raccoglierle troppo presto per il solo fatto che, appena divenute commestibili, non sono più sicure dai furti; perciò ci si vede costretti a raccoglierle prima del tempo. Soltanto nelle proprietà cinte da muri è possibile lasciarle maturare più a lungo.

Le varietà più comuni di uva nera sono la botagera, la spanna, la regina, la velmasina, l’ostana, la rossera, la bondola, la parsemina.

Valle del Vedeggio, William Coxe, 1779 - Le viti, cariche di grappoli, sono fatte passare di albero in albero e formano eleganti festoni. Il nostro viaggio attraverso questi campi elisi fu oltremodo piacevole vuoi per la costante varietà degli scenari, resa più dolce ancora dai riverberi del sole, che tramontava, e poi dall’argenteo chiarore della luna nello specchio, ancor lontano del lago.

Il baliaggio di Lugano, Johann Conrad Fäsi, metà XVIII sec. - Questo territorio gode già di molti vantaggi propri della fertile Italia. Dovunque la campagna è ubertosa e redditizia. Vi si vedono, è vero, ancora molte montagne e anche più colline. Le prime restano per parecchio tempo coperte di neve, ma per molti più mesi servono di pascolo per il bestiame. Le colline invece sono ricche di campi di grano e vigneti.

Lugano, Jean-Marie Roland de la Platière, 1776 - Le montagne vicine sono generalmente verdi fin sulla sommità. In basso, e sui versanti, si osservano molti villaggi. Tutti i terreni che possono essere coltivati sono coperti di gelsi, viti, e via di seguito. Le viti son sempre sposate ad alberi piantati allo scopo di tenerle sollevate in alto; il più delle volte si usano aceri o salici, che già hanno poche fronde: comunque vengono ancora sfrondati in gran parte, ogni anno, perchè i grappoli d’uva e il terreno sottostante, seminato o messo a foraggio, non ne risultino troppo ombreggiati. Paiono foreste, queste piantagioni, e i villaggi, che sbucano qua e là, offrono nel paesaggio un aspetto assai gradevole.

Ticino, Stefano Franscini, 1838 - Una visibile smania si chiarisce nel possidente e nei villici ticinesi, ma sopratutto in que’ delle rive del Verbano, per avere molteplici raccolte nel medesimo campo. A udirli raccontare com’essi sanno trarne ogni anno e frumento e cinquantino e fagiuoli e verze e uve, si dovrebbe crederli ben ricchi di tante e sì pregiate produzioni; e pure non è così. La moltiplicità de’ prodotti difficolta la coltivazione, e dà risultamenti di un valore effettivo ben al di sotto dell’apparente.

Ticino, Stefano Franscini, 1838 - Estesa molto ed importante si è la coltura delle viti in varie parti del Cantone; quantunque sia da confessarsi che serve ad alimentare un bisogno piuttosto fattizio che reale, e che contribuisce ben poco al commercio attivo del paese. Tanto è la popolazione ticinese vuol consumare in copia il vino o buono o brusco, e spende molto in allevare la pianta destinata a produrlo.

Ticino, Stefano Franscini, 1838 - Non poco divario riscontrasi nella maniera di crescere le viti. Vi sono i campi vignati od a rompi dove le medesime sono maritate agli olmi, a’ pioppi, a’ gelsi. Ivi i pampani dell’un ceppo vengono collegati con quelli del vicino. In altri luoghi son maritate a pali. Vi sono i novali alla Genovese (...). Vi sono i pergolati (volg. Tòpia) dove più dove meno alti. Nel Mendrisiotto e nel Locarnese prevalgono le viti a rompi. Nel Luganese quelle a novale. Nel Bellinzonese quelle a pali. Nel rimanente quelle a pergola.

Ticino, Stefano Franscini, 1838 - Troviamo che diciasette sono le qualità delle nostre uve nere e dodici quelle delle bianche. Di quelle che danno vino rosso le più comuni sono forse l’uva spanna o spagnuola, la regina, la ostana o agostana, la rosséra, la barsamina a parsemina (riputata ottima nel Mendrisiotto), la bondola, la paganona o paganola (eccellente a mangiarsi), la negrera (spiacevole al palato), la moscatella rossa.

Tamaro Domenico, 1893 - Nel Cantone, agricoltori veri, che vivono esclusivamente coi loro terreni per tutta la vita, sono pochi. Si tratta la maggior parte di persone che hanno fatto denaro in altre industrie, e possiedono terreno più per attaccamento alloro paese natio che per la prospettiva dell'interesse. Sono persone generalmente istruite, pronte ad ascoltare un parere, un giudizio, a modificare una loro pratica, a frequentare delle conferenze, ma andare alla Scuola, no. Credo che miglior servizio farebbe una cattedra agricola ambulante. Nel titolare della cattedra si avrà, relativamente con poca spesa, la persona dotta la quale, potrà recarsi qua e là ad ogni richiesta, potrà tenere conferenze su argomenti svariati a seconda del bisogno, potrà dare consigli, potrà promuovere riunioni, sindacati ecc.; si avrà infine una persona che potrà dirigere dei campi sperimentali, dei vivai, sorvegliare la esecuzione di opere miglioratrici e la distribuzione dei sussidi che concede la Società Agricola Cantonale oppure il Governo.

Tamaro Domenico, 1893 - Di quanto sia diminuita la produzione di vino nel Canton Ticino in questo ultimo ventennio, lo dimostrano i seguenti dati, che estraggo dal Conto-Reso della Direzione di Agricoltura pel Canton Ticino dell’anno 1891

Anno Prodotto

1871 52.743 hl 1,835,867 fr

1891 17.843 hl 458,914 fr

Tamaro Domenico, 1893 - Al sistema di educare le viti, di unificare le varietà, deve far seguito nel Sotto Ceneri una radicale riforma di coltivazione generale del terreno.

Qui oltre ai cereali, alle patate, ai legumi, si trovano gelsi, piante da frutta, salici ecc. così da rendere quelle campagne un vero caos di coltivazione. Il colono fa assegno sul gran turco e sulle piante a lui di più immediata necessità, quindi e delle piante arboree poco si cura. È facile immaginarsi che la vite viene di conseguenza concimata e curata sol perché è coltivata promiscuamente col prediletto gran turco e patate, ed ecco perché l’Isabella si diffuse tanto.

Ticino, Stefano Franscini, 1838:

Castelrotto - giace in collina nel circolo Luganese di Sessa; poco di sotto il ruscello Romanino si getta nella Tresa. Deve il suo nome ad uno de’ castelli che dominavano anticamente la contrada.

Sessa - E’ paese di collina. Nella inferior sua parte, lungo la Tresa, l’attraversa lo stradone che da Lugano per Agno e Ponte Tresa mette a Luino sul lago Maggiore. Ne’ tempi preceduti alla nostra rigenerazione nella contrada, per essere la medesima assai discosto dalla sedia del Landfogto spesseggiavano i misfatti, ed era chiamata Mal Cantone.

Ponte Tresa - Bel villaggio del circolo della Magliasina nel Luganese, sorge sul Ceresio là dove dal laghetto esce la Tresa (anticamente Tresia). Era luogo abitato sino dal IX secolo. Un antico ponte di legno con pile in pietra serve di comunicazione tra la destra e la sinistra sponda che è lombarda.(...) Scarso all’estremo è il territorio di Ponte Tresa sul dominio Svizzero, e sino da remoti tempi i lor campi e le lor vigne si trovano in su quel di Lombardia.

Magliaso - nel Circolo Luganese della Magliasina, è un bel villaggio sulla via che da Agno conduce a Ponte Tresa. (...) Appartiene al novero delle più fertili ed amene e meglio coltivate terre d’oltraceneri.

Pura - capoluogo del circolo della Magliasina nel Luganese: mirasi in alto sulla destra sponda del fiumicello, in amena situazione e fertile di vini.

Agno - Trent’anni fa, prima che la legislazione favorisse la più benefica delle arti, l’agricoltura, il piano che ha novero fra le più pingui e più produttrici nostre terre era poco meglio che un padule. (...) Abbonda d’ogni comodità per le interne ed esterne comunicazioni. (...) I suoi colli porgono buoni vini, e fertile di biade è la sua campagna.

Cimo - con Gaggio, è un piccolo ma amenissimo comune sul dorso de’ colli che distendonsi nel val d’Agno (circolo Luganese d’Agno). Produce in copia vini e frutta.

Bioggio - sulla destra del Vedeggio, tra Agno e Manno, alle falde di colli lieti per la più vigorosa vegetazione e soprattutto per la bontà delle uve. (...) Passa per Bioggio la via che dall’Ostarietta mena ad Agno; e un viottolo se ne distacca, il quale porta direttamente a Lugano, passando il Vedeggio sur un ponticello e attraversando un’incolta landa e il piano Poverò, incolto ancor esso e pantanoso fino a’ nostri dì.

Giovanni Lubini, 1883 - Buona parte d’Europa è invasa dal terribile flagello che, quale piaga contagiosa, si propaga colla velocità del lampo nelle feconde plaghe vitifere, tentando nella sua marcia di distruzione di ridurle allo squallore ed all’aridità del deserto; comitati, associazioni di vigilanza e di sicurezza sorgono ovunque; qua e là, da tutti si lotta contro il formidabile esercito dei microscopici invasori! E la lotta è ben giustificata e rispondente alla potenza immane del nemico, di un nemico “che cammina con una rapidità di distruzione di 85'000 ettari per anno”; che “ha ridotto al decimo il valore della proprietà fondiaria, soppressa la mano d’opera, cagionato l’emigrazione di numerose colonie rurali”; che alla sola Francia apportò un danno di 5 miliardi, e che cresce annualmente in proporzione geometrica nella sua invasione, continuamente minaccioso coll’arma terribile della sua prodigiosa fecondità.

Arnoldo Dodel-Port, Il Dovere, 17 settembre 1883 - Colle nostre viti attuali i coltivatori non avranno più bene. È giunta l’ora di guardarci attorno in cerca di una vite che non soccomba alle malattie, ma che anzi ad esse resista fortemente, pur producendo un frutto non inferiore all’attuale, e anzi, per quant’è possibile, anche in annate umide e fredde, imperocché sembri che anche il nostro clima sia malato.

Giovanni Rossi, 1908 - La vecchia industria viticola, sorpresa e colpita quasi a morte dal rapido diffondersi della filossera, doveva necessariamente risentirsi da una catastrofe così inaspettata e repentina. Non si costruisce un nuovo edificio sopra un terreno che ancora ingombrano le rovine del vecchio in continuo e lento diroccamento, nè è sempre facile mutare completamente l'animo di chi, abituato da tempi remoti a dati sistemi di coltivazione, deve d'un tratto abbandonarli per adattarsi a dei nuovi a lui ancora sconosciuti e più complicati.

Giovanni Rossi, 1908 - Nello spazio di un cinquantennio la viticoltura europea ha attraversato delle crisi economiche tali che nessun'altra coltivazione può enumerare.

Ottavio Ottavi, 1893 - È certo che la banchina appena formata è troppo facilmente movibile: ma ecco come operano gli agricoltori svizzeri per impedire lo sfacelo della scarpa: prima di incominciare il lavoro scoticano quel tratto di terreno nel quale deve sorgere la banchina, e raccolgono le cotiche nella parte più bassa, sotto la linea sulla quale deve innalzarsi la scarpa del ripiano. Quando quest'ultimo è finito, un operaio è incaricato di rivestire subito, con quelle cotiche erbose, il ciglio superiore delle banchine, che è la parte più facile a smuoversi; ed in seguito tutta la scarpa è minutamente ed accuratamente rivestita di quelle zolle.

A. Tamburini, Il Malcantonese - Da tutte le parti si domanda sempre ma quali vitigni dobbiamo preferire?

I Malcantonesi che hanno una così plendida posizione devono coronare i nostri ameni ed aprici colli di lunghi filari di vite nostrana ed ottenere quel vino generoso che già bevevano i nostri vecchi padri alla ombra dei romantici crotti.

G. Rossi, 1902 - L'agricoltura, come l'industria, la scienza e le arti, non deve, non può essere stazionaria; essa subisce la legge ineluttabile del progresso e guai a colui che seguendo quel detto: "i nostri padri facevano così" avesse a seguirne perpetuamente le orme. I tempi sono mutati; a bisogni nuovi, cose nuove.

Bisogna rompere coi vecchi metodi di coltura mista, metodi che impediscono il normale sviluppo del sistema sia radicale che aereo, ed adottare esclusivamente la coltura specializzata. (...) Altri si compiaceranno di coltivare accanto alle viti, pomi di terra, cereali o granoturco, quando frammezzo a queste culture non vi si trovino ancora peschi o gelsi, aceri o ciliegi. E la conseguenza? Ma salta agli occhi! Codeste colture assorbiranno a detrimento della vite gli elementi necessari ad un normale sviluppo ed una buona fruttificazione.

La nostra viticoltura d'avvenire dovrà essere intensiva, e per viticoltura intensiva non bisogna restringersi nei limiti di un grande prodotto, ma abbracciare altresì la buona qualità del prodotto stesso, del che poco si cura la cultura estensiva. La viticoltura intensiva è anche la più proficua; è questo un corollario a quanto venni fin qui affermandovi abbastanza minuziosamente.

Roland Hochstrasser

 


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