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Giovannino senza paura e il barone Ruggero

A Sessa, nel Malcantone, arroccato tra i boschi dello Scerè, vi era un Torrione di pietra grigia, alto, cupo e merlato. Intorno era circondato da un muraglione. In esso, coi suoi lupi addomesticati, che gli servivano da cani da guardia, abitava il perfido Barone Ruggero, un misterioso nobile signore tanto ricco quanto crudele, che spadroneggiava su tutto il territorio.

Il Barone Ruggero era uso la notte di ogni Natale offrire una grossa somma in monete d'oro alla donna che si fosse recata da lui a mezzanotte in punto a mostrargli un bimbo neonato.

Sospinta dalla miseria, in un Natale particolarmente freddo, una povera donna di Sessa, con in braccio il suo bambino, prese coraggio e a mezzanotte bussò alla porta del torrione. La porta si aprì da sola, come per incanto, e la donna timidamente entrò nel cortile e si trovò circondata da lupi con crudeli occhi gialli e lunghe zanne, che, sospingendola con il muso la costrinsero ad entrare in un salone fiocamente illuminato da un grande candelabro. Sul fondo della sala sedeva, in ombra, il temibile barone.

Barone Ruggero era magro e segaligno, vestito tutto di velluto nero e con un gran mantello color del sangue. Folte sopracciglia nere adombravano due occhi di brace che quando ti guardavano sembravano scavare nel profondo del tuo animo, i lunghi baffi rivolti all'insù e la barba a pizzetto appuntita come una punta di lancia completavano l'aspetto diabolico di quell'uomo. Al fianco gli pendeva una lunga spada e un pugnale era infilato in uno dei suoi stivali. "Miserabile donna  disse Ruggero rivolto alla poveretta che tremava come una foglia  mi hai portato il bambino da vedere?"

"Eccolo  disse la donna aprendo il grembiule e mostrando la sua creaturina di pochi giorni, che ignorando tutto, dormiva beata  Lo guardi, lo guardi pure Signor Barone, è nato da pochi giorni, non sembra Gesù Bambino?"

Il barone si chinò a guardare il bimbo avvolto in uno scialletto poi il suo viso si deformò in un ghigno che voleva essere un sorriso: "É proprio un bel bimbo ... eccoti l'oro che ti ho promesso".

Il barone fece cadere a terra una cascata di monete d'oro e la donna, posato a terra il bambino avvolto nella sua copertina, si mise a ramazzare quelle monete come una disperata e a riporle nel grembiale annodato. Quando dopo alcuni frenetici minuti, la donna rialzò il capo, la sala era deserta: non vi erano più né il barone né il bambino, ambedue scomparsi nel nulla come per magia e i lupi, ringhiosi e minacciosi, la costrinsero ad uscire dalla torre.

Alla donna, disperata e con qualche apprensione per la sorte del suo bambino, non rimase che correre a casa piangendo. Il bimbo non fu più rivisto e la donna pianse e si disperò invano. Al Borgomastro di Sessa che umilmente chiese a Ruggero notizie del piccolo, il barone rispose di non averlo mai visto, di non saperne nulla, e accusò la povera madre di essere una bugiarda. Passarono gli anni e ad ogni Natale qualche poveretta cascava nell'inganno e portava un bimbo al perfido barone e il piccolo puntualmente scompariva nel nulla, con grande strazio della madre.

I buoni borghesi di Sessa non sapevano proprio cosa fare: vivevano tutti nel terrore del barone e dei suoi lupi feroci, d'altra parte non potevano rassegnarsi a queste sparizioni annuali. Così si tirava avanti e il barone Ruggero si faceva sempre più prepotente. Ora chiedeva giovani fanciulle che lo servissero gratuitamente, un'altra volta costrinse i contadini a sfoltirgli il bosco, coltivargli i campi, lavare tutte le pietre del torrione e pettinargli i lupi contropelo, e infine si faceva consegnare la metà di tutto quello che si produceva da Sessa ad Aranno. Insomma vivevano tutti nella paura del barone Ruggero!

A rendere la cosa più inquietante si diceva che molti viandanti, sorpresi dalla notte tra i boschi dello Scerè, venivano cordialmente invitati dal barone a pernottare nel suo torrione, ma di tanti che erano entrati nessuno era mai uscito! Che fine avessero fatto non si sapeva, ma la gente del luogo sospettava il peggio.

Un bel giorno si vide arrivare a Sessa un uomo singolare: non era tanto alto ma aveva delle braccia che sembravano tronchi tanto erano muscolose, un torace grande come una botte e delle gambe solide e ben piantate simili a querce. Aveva i capelli color polenta e la faccia simpatica ma rincagnata da mastino. Portava in mano una gran mazza ferrata lunga e grossa che pareva un frassino e ci volevano dieci uomini per sollevarla mentre lui invece la faceva ruotare tra pollice e indice come se fosse una pagliuzza. Era il Giovannino senza paura, figlio di una principessa d'oriente e di un nobile guerriero della Valcuvia.

Era una notte di temporale e il Giovannino (che veniva da Luino) si era perso nel bosco dello Scerè. Vedendo una fioca luce, seguì quella traccia ed eccolo davanti al portone del torrione del temuto barone.

Giovannino affibbia una tremenda pedata alla porta che per il gran colpo cade di schianto! Questo era il suo modo di bussare!

Entra ed eccolo circondato dai lupi ringhianti. Niente paura! Giovannino come si sa era senza paura così ecco che salta addosso al primo lupo che gli capita a tiro, lo afferra per il muso e le gambe dietro e lo piega in tondo come se fosse un rametto di salice quindi gli ficca la coda in bocca e gli chiude con tanta forza le ganasce che il lupo non riesce più ad aprire le fauci e resta lì così con la sua coda in bocca a odorarsi il sedere! Gli altri lupi, visto che il Giovannino comincia a far roteare minacciosamente la sua terribile mazza, preferiscono darsela a gambe guaendo per il terrore!

A quel punto sulla scalinata che porta al salone compare il barone Ruggero (che aveva assistito a tutta la scena ed aveva perfettamente capito che il Giovannino non era avversario da sottovalutare) e dice: "Messere, cosa fate qui e cosa desiderate da me?" Il Giovannino, che in pratica voleva solo ripararsi dalla tempesta e niente sapeva dei misfatti del barone, chiese educatamente un letto asciutto per la notte. Il barone acconsentì e condusse il nostro eroe attraverso scale e scaloni sino ad una stanzetta in cima alla torre che recava un cartello di rame con sopra scritto:"Stanza degli ospiti".

Ma guarda che stanza degli ospiti! Piena di ragnatele e sporcizia e con degli scarafaggi grandi come scarponi! Però almeno era all'asciutto e in mezzo al locale c'era un gran letto alto con un bel baldacchino sopra che sembrava una cosa da signori! Una parete era tutta occupata da un armadio a muro chiuso con un grosso lucchetto. Il Giovannino che non era stupido, ebbe il sospetto che la stanza nascondesse qualcosa e si mise a frugare in ogni angolo. Infine, facendo leva colla mazza, scardinò il lucchetto e aprì l'armadio. Quale fu la sua meraviglia nel trovarlo pieno di teschi, messi in bell'ordine sugli scaffali. E su ogni teschio c'era scritto: "Ammazzato il... (e la data)". Giovannino era sì senza paura ma alla pelle ci teneva, così invece di coricarsi nel letto si sistemò sotto di esso e aspettò. Quando stava per addormentarsi ecco che suonò mezzanotte al campanile di Sessa. Il Giovannino contò i rintocchi: giusto al dodicesimo tocco si udì un rumore sinistro e da una botola posta sul soffitto una grande lama di falce fienaia, il "ranzon", piombò a tutta forza sul letto facendo a pezzi cuscino e coperte, i cui brandelli volarono per tutta la stanza. Ecco come il barone Ruggero uccideva i suoi ospiti! Decapitandoli mentre dormivano!

Il Giovannino recuperò i suoi abiti e quattoquatto scese la scala a chiocciola per andarsene indisturbato. Ma mentre stava scendendo al buio ecco che sentì salire il barone che certamente veniva a vedere che fine avesse fatto il suo ospite. Il barone salì e Giovannino ritornò su correndo in punta di piedi, rientrò in stanza e gli venne un idea: nella bisaccia aveva un bel pezzo di lardo di Gavirate (quello bello grasso che si compra al mercato del venerdì, così unto ma tanto buono! Non fatemici pensare che mi viene fame!) che gli serviva da colazione. Col pianto in cuore lo prese e lo sfregò ben bene per terra, sugli scalini ripidi, fino a che non si fu consumato. Intanto il barone era giunto al penultimo pianerottolo, ancora due scalini, un altro, un altro ancora, mette piede sull'ultimo scalino... sale d'un balzo sull'ultimo con lo spadone in pugno... ma scivola su tutto quel lardo sfregato per terra... vola in aria... cade... e mentre è lì in equilibrio Giovannino gli tira un gran colpo di mazza, ed ecco il barone Ruggero volare giù dalle scale e patapim e patapum si fa tutta la scala a tombolonil All'ultimo scalino picchiò la testa e quando Giovannino arrivò giù lo trovò bello e morto, proprio stecchito.

Quando la brava gente del Malcantone venne a sapere che il barone Ruggero era morto, sai la felicità! I contadini, i mercanti, tutti insomma fecero grandi feste e banchetti: finalmente si erano liberati di quel tiranno sanguinario.

Ma un barone è pur sempre un barone e così il Borgomastro dovette organizzare il funerale in pompa magna.

Al funerale del barone c'erano proprio tutti i cittadini, la banda musicale, il Borgomastro, il parroco coi chierichetti. Ma bisogna dire che nessuno piangeva, anzi erano tutti piuttosto allegri e si raccontavano barzellette ridendo e facendosi scherzi.

Tant'è che il nostro Giovannino, che si era unito al funerale per dovere cristiano (ed anche perché in fondo era stato lui la causa della morte del barone) ripeteva tra sé e sé: "Ma che strano funerale ... somiglia più ad una festa del paese!" E così un po' per farsi venire il magone e un po' perché aveva sete cominciò a bere un po' di vino: quando arrivarono al cimitero aveva scolato venti bottiglie di Malvasia e tredici di Bonarda! Giovannino quando aveva sete non si tirava certo indietro!

Giunti al camposanto scavarono una fossa ma quando fecero per calarci dentro la bara la terra cominciò a tremare, fuoco e lapilli esplosero dalla fossa e si udì una voce terrificante: "Guai a voi mortali se seppellite in me quel disgraziato assassino ... io, la Terra, non lo voglio!" Allora si pensò di gettare la bara nel fiume. Macchè! Il Tresa si fece gonfio d'onde e scuro e rigettò in aria la bara che volò sulla riva: anche l'acqua rifiutava il cadavere del barone!

A quel punto la bara si sfasciò e tra lo spavento generale si vide lo spettro del barone Ruggero uscire dal sarcofago e, bestemmiando e imprecando farsi avanti minaccioso verso i suoi concittadini che lo fissavano impietriti dalla paura. Ma Giovannino non aveva mai avuto paura né dei morti, né dei vivi, e fattosi sotto allo spettro spalancò la bocca (che aveva proprio grande!) e lasciò uscire un' alitata di vino mal digerito così puzzolente che il fantasma disgustato cominciò ad arretrare. E così Giovannino, sempre ruttando e menando grandi bastonate nell'aria, e il fantasma indietreggiando giunsero sulla cima dei Bedeloni (il Monte Sette Termini) e lì Giovannino fece in fretta col suo bastone un cerchio intorno allo spettro e poi lo segnò con una croce fatta col gesso ed il fantasma del barone, prigioniero di quell'incantesimo, fu così confinato sulla cima del Sette termini, da dove lo si sente ancora urlare tutta la sua rabbia impotente nelle notti di temporale.

Da allora in poi gli abitanti di Sessa vissero felici e contenti e ogni anno organizzarono una festa con un grande banchetto per ricordare la loro liberazione dalla tirannia del cattivo barone, però per paura che si mangiasse tutto lui, non invitarono mai il Giovannino.

 

Corbella Roberto, Fiabe prealpine


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