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Storie di streghe

La mia gente, semplice, onesta e laboriosa, credeva un tempo alle streghe. Ma non spaventatevi, di streghe non ce n'erano affatto. Erano state inventate dalla fantasia, create dalla paura che è sempre fatta di nulla. E attorno a queste streghe si son raccontate delle stramberie. State a sentire.

Curtina: un gruppetto di case vecchie e solitarie, alcune nude e diroccate, saldamente attaccate alla schiena della montagna, che guardano giù da molto tempo verso il fiume; rigate da stradicciole capricciose e chiuse intorno da sassi e da boschi, con in mezzo una striscia di cielo. Di lì sono nate alcune leggende di streghe che la fantasia popolare ha fiorito di fatti e di cronache. Quelle streghe che, secondo alcuni, giravano di notte e che avevano la facoltà (chissà come!) di cambiarsi facilmente in vipere, in serpenti, in cani e gatti, e in tante altre forme. Accanto a queste vivevano gli spiriti e i folletti che grandi e piccini vedevano durante le ore della notte e talvolta anche di giorno, dentro il cavo degli alberi, nelle caverne, sui cigli dei burroni e... perfino nella soffitta di certe case disabitate.

La fantasia bizzarra e sfrenata dei miei vecchi, abituata a correre, aveva dato anche un nome alle streghe. Così c'era la Margheritaccia, alta e magra, con due occhi piccoli e rossi, sepolti da tanti peli, i capelli neri e lunghi che le piovevano spettinati sulle spalle, con un'espressione cattiva, molto cattiva nella faccia. Quella era la strega più temuta che viaggiava a passi da gigante da «Costa Curea» su, su in alto fino a "Piandanazzo". Si diceva che combattesse perfino i fulmini. Si recava spesso sul ponte di "Val Marone", poco distante da Curtina, e batteva più volte la sua bacchetta magica su di un sasso che sporgeva a forma di serpente dalla sponda del fiume. Allora il cielo si faceva improvvisamente nero come il carbone. Tuoni paurosi e fiamme di rosso vivo squarciavano le nuvole e annunciavano un temporale indiavolato che rovesciava addosso la sua rabbia a quelli di Curtina, causando gravi danni alla campagna. La povera gente allora si avviava spaventata alla chiesa a scongiurare il pericolo. Al suono della campana la strega scompariva, il temporale cessava e la tempesta furiosa si allontanava.

La Margheritaccia si ritirava poi nella sua tana oscura, lassù ai "Campeströ", un bosco di spini e di rovi che non aveva nessun sentiero per i vivi.

Un'altra strega pericolosa che prendeva sovente forme di animali era la Meniga. Si raccontava che Barbalazzaro, un appassionato cacciatore del paese, dal tiro infallibile, rincorresse sovente un leprone, durante il tempo di caccia, senza poterlo uccidere nemmeno a pochi passi di distanza. Il vecchio, di fede religiosa, non cacciava mai senza il libro delle preghiere in tasca. Ma un giorno di novembre dimenticò a casa il libretto miracoloso e, ai piedi della montagna, s'imbatté nella lepre che, per nulla impaurita, si fermò questa volta proprio davanti a lui, rizzandosi minacciosa sulle zampe, gonfia di rabbia, e mettendosi a parlare così:

"Adesso t'aggiusto io. È venuta l'ora di fare i conti".

Era la strega che gli saltava addosso, facendolo ruzzolare dalla montagna. Il povero cacciatore venne trovato più tardi disteso a terra da alcuni giovani che lo trasportarono a casa, ferito e disarmato.

Ma ci fu in paese un giovane forte e coraggioso che seppe lottare contro una strega. E riuscì a vincerla.

Una sera d'estate, Giovan Marianna ritornava stanco dal lavoro dei campi quando, da un grosso castagno, piantato lì all'orlo del bosco sopra una cascina, si alzarono d'improvviso lingue di fuoco che si allungavano su verso il cielo, tagliando le ombre. Dal tronco dell'albero uscivano le parole di sfida della strega "Varispa". Il giovane, pieno di coraggio, reagì prontamente e, armato di un coltellaccio ben affilato, lo piantò furioso nel tronco del castagno. Le fiamme si spensero di colpo. Dall'albero uscirono grida acute di dolore, mentre dalla ferita colava copioso il sangue. La strega moriva sotto i colpi duri e secchi del giovane coraggioso.

Il vecchio castagno, diventato ormai storico, restava poi lì sotto gli occhi dei curiosi per lunghi e lunghi anni, con la ferita aperta, testimone di quell'atto eroico.

Si aggiungeva ancora che lo stesso giovane ritornando a tarda ora dalla città in una fredda notte di gennaio e non volendo disturbare i suoi di casa, andasse a coricarsi in una stalla, sotto il fieno. E che, non visto, udisse davvero un lungo e misterioso colloquio delle streghe con il diavolo. 

A. Petralli, Una piccola valle racconta, Gaggini Bizzozzero SA, Lugano 1963


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