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Il conte Ruggero

Nella zona occidentale del Malcantone, la leggenda attribuiva al conte Ruggero di Luino ogni sorta di misfatti. Il terribile uomo faceva trascinare quanti non si piegavano a' suoi voleri nei sotterranei del suo palazzotto; orridi sotterranei che comunicavano col lago, dove i malcapitati miseramente finivano la loro esistenza.

Alla morte del conte Ruggero, le genti del Malcantone si sentirono liberate da grave incubo.

L'anima di lui andò difilata all'inferno, ma il demonio davanti a quell'ombra così nera e così orrida, provò tale repulsione che, temendo di perdere il suo imperio, immediatamente la ricacciò nel luogo dond'era venuta.

L'anima del conte Ruggero ritornò nelle convalli della Tresa. Nel buio delle tenebre, era essa inseguita da una muta di cani ululanti, che destavano nel popolo brividi di sgomento, peggio di quando il ribaldo s'aggirava co' suoi sgherri.

L'aria, lacerata dai guaiti, ripeteva il sinistro nome del maledetto.

Una notte, due animosi falciatori di fieno, nonostante l'indiavolato ululare, s'avventurarono nei prati dirimpetto ad Astano. Stavano già per essere presi fra due latranti branchi di segugi alla caccia di quel rifiuto dell'inferno, quando disposero a croce sull'erba le loro falci fienaie.

Come per incanto, cessò ogni rabbia di cani; l'anima in pena disparve; l'aria ritornò quieta e le stelle scintillarono come non mai nel cielo del Malcantone.

V. Chiesa, L'anima del villaggio, Gaggini, Lugano 1934, p. 168-169


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