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Elogio della calce di Francesco Chiesa

Incontrai tempo fa, in un villaggio qui presso, un uomo occupato a colmare una fossa.

Non era, lo dico subito, un sotterramorti, nè il luogo un cimitero, nè la buca una di quelle strette buche le quali bastano anche a chi da vivo trova piccolo il mondo. Era una larga fossa quadrata, tutta biancicante lungo i margini e, da un lato, a fior di terra, un triangolo di grosse assi incrostate pure di bianco: insomma una antica fossa da calce.

-Oh, perchè?- chiesi. - Non adoperate più calce? Non si fabbrica più nel vostro paese? Non s'imbiancano più facciate di case, pareti di stanze?

Mi risponde che, si, qualche casa viene di tanto in tanto o se ne rifà una vecchia. E occorre calce, si capisce, calce e sabbia: quando non è cemento. Ma tutto arriva già preparato, macinato, in sacchi di carta. Non c'è che buttarci sopra un secchio d'acqua e rimestare. Non è più necessario, come una volta, ricorrere alla fornace, portar via carrate di pesanti blocchi, bagnare con precauzione, star attenti che si formi un caldo giusto, lavorare la pasta, farla colare nella fossa. Operazione non facile, che esigeva molta pratica. Oggi, con la calce in polvere, tutti sanno fare. (...)

Corriere del Ticino, 21 marzo 1942

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